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FOTOGRAFIE 96-2000
09.03.01 > 29.04.01
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NEVE Non c’è anima viva, pensa la donna. Gli abeti innevati davanti alle case sembrano cosparsi di zucchero, pensa la donna. Nello sfondo, luci gialle, rosse, vacillanti, di color azzurro bianco. Di giorno, la gente vive dietro le finestre di quegli edifici in vetro e cemento; finestre che di notte s’illuminano e trasformano le abitazioni in cubi di ghiaccio multicolori. Al pianterreno, le persone entrano ed escono dalle porte d’ingresso vetrate – a destra i campanelli con le targhette, a sinistra le cassette delle lettere – passando dal corridoio fino alle scale, in direzione ascensore. Non ci sono stata, non una sola volta, né due, tre, quattro volte, pensa la donna. Guarda le immagini che si trovano nelle sue mani, piatte, colorate, rettangolari, sulle quali la neve si accumula davanti alle case di quella città immersa in un paesaggio boschivo. Non c’è anima viva su quell’immagine, pensa la donna. Ferma a margine della strada, guarda la messa a fuoco in profondità. Alle sue spalle, un distributore, bianco, radioso. Di fronte, un ammasso di neve che impedisce l’accesso ad una serie di autorimesse, tutte identiche, tutte in fila. Visione, prospettiva, punto di vista. L’obiettivo percepisce il chiarore invernale. Che bello, pensa la donna. Nonostante il freddo. Ma dove sono gli abitanti? Dietro quelle finestre. L’eccessiva neve accumulatasi durante le numerose nevicate notturne viene trasportata ed ammassata fuori città. Mucchi di neve irruvidita, ammassi pressati a blocchi irregolari. Non più bianchi come la panna. La strada che porta fin là è illuminata con una luce fredda ed in profondità si scorgono gli automezzi addetti al trasporto della neve. E poi, il distributore. Ma non si vede anima viva. La neve che da un tocco di morbidezza alla strada rettilinea, che trasforma la città fredda in una città ovattata e luminosa, come se da un momento all’altro sbucasse dal bosco un asinello adornato di campanelli. Città ricoperta di neve, avvolta dal freddo. Splendido freddo pieno di fiocchi che non cessano di cadere. Forme rigogliose e colori delicati. Una neve che arricchisce il mondo di rotondità, che sfuma i contorni nitidi, che blocca l’accesso alle autorimesse. Qui non si caccia di certo il cane dal cortile. Ma l’asinello non c’è. Continua a nevicare ininterrottamente. La neve si posa delicatamente tra le case, sugli alberi ed entra nelle abitazioni dalle fessure aperte. Neve sul letto, neve sul divano. Neve sui fornelli, pensa la donna. Tutto si trasforma e diventa bianco. Notte dopo notte, le persone trasportano la neve fuori città. Altrimenti, dicono, la città scomparirebbe nella neve e ricomparirebbe soltanto in primavera: la panetteria, l’osteria, la scuola, le abitazioni. Il panettiere si scongelerebbe in primavera accendendo il forno, l’oste si scongelerebbe servendo la birra, la gente seduta ai tavoli si scongelerebbe rifiutando ormai il passato e rallegrandosi delle novità, i bambini si scongelerebbero pronti ad andare nella loro strada, i cani si scongelerebbero alzando una gamba davanti alla macelleria, pensa la donna. Sull’immagine, una strada bianca e montagne con contorni morbidi, edifici luminosi. La neve deve essere portata via, dice la gente. Stati d’animo, condizioni meteorologiche. In inverno, la notte è luminosa in città, pensa la donna. Una neve che trasforma l’oscurità producendo dei colori propri, che racconta la città in modo diverso: silenziosa. Una neve che diffonde nella brezza notturna la luce della luna, dei lampioni e delle abitazioni. Una neve che decora, che ricopre e nel contempo accentua. Una neve che festeggia e minaccia. Colori, forme, stati d’animo, condizioni meteorologiche uguale a soggetti, temi. Tutto racchiuso in una superficie piatta dove si simula lo spazio e si gioca con i colori. Chimica. La pellicola c’era, pensa la donna. Case, neve, strade, neve. La notte innevata, i mucchi di neve in periferia. Abeti, neve e distributore di benzina, luce abbagliante. La pellicola si è fatta un idea della neve, rettangolare, colorata, piatta ed è ciò che vede la donna su quell’immagine. Io vedo qualcosa che tu non vedi, dice la pellicola alla donna. Nadine Olonetzky, dicembre 1999 |