Maurizio Montagna
02 12 2013 – 02 02 2014
prolungata fino al 09 03 2014
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La coscienza della forma
Si sente una distanza fra i nostri occhi e i soggetti delle fotografie di Montagna, non è vera lontananza è piuttosto la sensazione di vedere una forma che si inserisce fra lo spettatore e cio’ che è rappresentato. Susan Sontag scriveva che “l’arte riflessiva è quella che impone al pubblico una certa disciplina, procrastinando il facile godimento”[1]. E’ il distanziamento con gli oggetti presentati in cornici minimaliste e scarnificate che in realtà prepara a una riflessione e puo’ diventare fonte di grandi emozioni (anche se non immediate). L’effetto di straniamento ha il potere di far scaturire il ragionamento e la riflessione, l’immagine quindi stupisce, anima lo spettatore. A Maurizio Montagna la fotografia serve per stabilire un contatto con la realtà, ma tale contatto è mediato, è un contatto virtuale con l’ambiente. Lo sguardo dietro l’obbiettivo si posa su oggetti e paesaggi che non vengono denunciati, giudicati o celebrati, essi semplicemente si rivelano, vengono “trovati” dal fotografo (come dei veri “ready made”) e, forse, solo in un secondo tempo, ancora da lui “cercati” nel paesaggio. Lo sguardo di Montagna prima di essere indagatore, scientifico e classificatore, è aperto, leggero, disincantato, quasi distratto, di colpo attratto da qualcos’ altro. Sia le forme anonime dei pannelli pubblicitari vuoti (billboards), sia le figure riconoscibili delle bottiglie e dei tori nel paesaggio spagnolo (bullproject) sono come schermi appesi su strutture essenziali, ossature silenziosamente collocate nel contesto naturale e urbano. Sono fenomeni da osservare e riprodurre. Persino le selezionate architetture di Minoletti, il lavoro commissionato dalla GAM di Gallarate, che abbiamo svolto insieme alla fine del 2008[2], sembrano, stampate su grande formato, artefatti silenziosi che offrono allo spettatore vaste superfici vuote. E’ curioso pensare come questo protagonista dell’architettura razionalista milanese si interessasse alle infrastrutture per la pubblicità intese come elementi architettonici. Elementi che, se di qualità, potevano concorrere ad individuare un nuovo linguaggio per la città contemporanea del dopoguerra; Minoletti sentiva infatti il fascino delle luci mutevoli e delle insegne colorate, anche se rischiavano di diventare possibili fonti, se non controllate da un buon progetto, di molto inquinamento visivo (i tori della Osborne diversi anni dopo venivano ripuliti dalla propaganda commerciale…). C’è un aspetto interessante che avvicina le fotografie di Montagna a dei disegni e a delle scritture. Alcuni elementi sembrano incidere le immagini come fossero didascalie. Rovi, piante rampicanti, rami, tubi e cavi di impianti divelti, ferri che escono dal calcestruzzo e scritte dei writers appaiono come firme taglienti sulle superfici degli oggetti e degli edifici, sono linee disegnate, testi sull’immagine, ideogrammi. Le fotografie acquistano un valore grafico. Se è vero che fotografare significa attribuire importanza a frammenti di realtà possiamo immaginare che è altrettanto importante confrontarci con forme isolate che ci suscitano emozioni. L’artista puo’ guidarci a leggere le forme in modo simbolico, non svelarne del tutto il mistero per mantenerne l’intensità, aiutarci a scoprire, riflessi in esse, i contenuti del nostro inconscio.
Katia Accossato 24 novembre 2013 ….. ….. ….. |