SEGNI
13 02 2011 > 12 03 2011
POPOLI
03 09 2005 > 17 09 2005
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Mettere anche un solo piede in un bosco significa mettere sottosopra un equilibrio che di umano non ha proprio nulla. È infatti necessario un assoluto silenzio per ascoltare i rumori del bosco. Formiche che corrono indaffarate, bisce che strisciano silenziose sotto lo strame, fruscii del vento tra le foglie e i rami degli alberi, cinguettii di uccelli . Rumori tanto più evidenti di notte poiché tale è il frastuono della vita quotidiana della città durante il giorno, da renderli inesistenti e insignificanti alle persone meno sensibili.
Ho sempre abitato accanto ai boschi sin da piccolo. Il bosco è stato per me fonte di educazione, di paure e di giochi: da qui forse il mio rispetto. Bruciavano, soprattutto dąestate, vuoi per idiozia umana che per autocombustione. La paura, tanto da dover scappare da casa con i miei genitori lasciando tutto dovąera per trasferirci dai nonni al lago, ma anche il fascino degli incendi che vedevo da vicino quando tornavo da scuola. Noi ragazzini correvamo avvertiti dalle sirene dei pompieri, affascinati dallo spettacolo dei grandi abeti e dalle betulle altissime che bruciavano come fiammiferi, oppure, di notte, sull’altra sponda del Lago Maggiore, assistevo a magnifici spettacoli pirotecnici dei boschi che, rossi, verdi e gialli di fiamme tremolanti, creavano forme astratte sempre in movimento. Il giorno dopo solo il fumo lasciava traccia del danno enorme ormai avvenuto.
Era anche, il bosco, il nostro parco giochi naturale. Si giocava agli indiani costruendo archi e capanne sugli alberi. Prima ancora di farsi degli amici, quelli in carne ed ossa, è stato il bosco il mio primo grande amico. Parlavo alle piante, davo loro un nome. Ricordo łul zio˛ un castagno che, forse colpito da un fulmine, non era più riuscito a crescere normalmente ed aveva lasciato cosě al suo interno un buco, abbastanza grande per farci la nostra sala di incontri segreti. Esiste ancora oggi, malconcio, con qualche esile rametto nuovo che stenta però a diventar adulto. Nostro divertimeto era anche quello di andare a caccia di scheletri di animali, soprattutto gatti che se n’erano andati nel bosco a morire in santa pace. Tutto ciò ci faceva sentire importanti esploratori di foreste sconosciute e impenetrabili dove in ogni angolo, in ogni cespuglio si poteva celare un tesoro che pareva messo là apposta per noi.
Sandro Glaettli ha la giusta sensibilità verso le foreste che fotografa con rispetto e dolcezza. Si è reso conto che il bosco è costituito da esseri viventi: le piante. Esse crescono, parlano e cantano, si sviluppano in tutte le direzioni e diventano simili alląuomo, tanto da poterle paragonare nel loro insieme a delle città. Ma c’è una differenza sostanziale tra la città degli uomini e la città degli alberi: quest’ultima è più disponibile ad accogliere gli intrusi. Cimiteri, depositi di ferraglia, discariche abusive, carcasse di animali ed ogni cosa abbadonata dall’uomo con totale incoscienza, viene avvolta e ricoperta dal bosco. Come se il bosco volesse nascondere agli occhi di chi lo percorre a piedi, le brutture del mondo. Tra le spire dei rami degli alberi, vengono inghiottiti gli oggetti che l’uomo ha forse amato, ma che non vuole piů vedere, vuole dimenticare. Il bosco nasconde la memoria delląuomo e, quando è possibile, la ricicla.
Infine il bosco è fonte di vita. Dal bosco provengono una quantitŕ enorme di prodotti utili. Il legno, ovviamente, che ci accomagnava fino a qualche secolo fa dalla culla,al letto, alla bara (come ben ricordava Filippo Rampazzi, direttore del Museo di Storia naturale di Lugano in un catalogo di una mostra di alcuni anni fa alla Galleria Gottardo). Il bosco dava nutrimento: bacche, castagne e altri alimenti oggi ormai coltivati quasi solo in serra; produceva erbe usate nella preparazione di pietanze e medicinali.
Nonostante l’urbanizzazione forzata a scapito della macchia generatrice, il bosco è ancora oggi luogo importante per la vita dell’uomo. Percorrendolo di giorno e di notte, in punta di piedi cercando di non disturbare, Sandro ci offre le immagini della sua quieta trasformazione, anche laddove l’uomo è intervenuto: accatastando legna tagliata, piantando steli per i suoi morti, pulendo lo strame dai sentieri. Egli gira per il bosco solo quando se la sente e lo fotografa solo quando l’immagine che ha ben fissa nella sua mente, gli si propone davanti.
Si augura che un giorno tutto venga riordinato e, come rappresenta l’ultima fotografia di questo libro, tutto venga rimesso in moto reinstaurando il concetto di equilibrio che la natura ottempera per sua stessa concezione ma che l’uomo, nella sua presuntuosa arroganza vorrebbe scardinare.
Luca Patocchi, Breganzona, giugno 2005
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