ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI
04 10 2009 > 22 11 2009
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Accoppiamenti giudiziosi Note sul lavoro di Donato Navone di Angela Madesani
Quando Carlo Emilio Gadda, nel 1963, raccoglie diciannove racconti scritti in momenti diversi del suo cammino, decide di dare alla raccolta il titolo Accoppiamenti giudiziosi, perché parti disgiunte di uno stesso organismo di un unico e lontano progetto. Così anche per le opere di Donato Navone raccolte in questa prima mostra personale svizzera. Apparentamenti di oggetti, colti nella loro unicità e così fissati nel tempo e nello spazio.
Oggetti del quotidiano, del suo quotidiano, oggetti di affezione, appoggiati sulla carta fotografica con un procedimento che rimanda alle origini della fotografia, a Fox Talbot, ma anche a Man Ray, a Christian Schad. I suoi fotogrammi sono la registrazione di una traccia, essenza della fotografia stessa in chiave analogica. Navone non compie un’operazione di matrice estetica alla ricerca della bellezza dell’oggetto d’uso quotidiano. La sua é una ricerca di matrice linguistica sulla fotografia, che oggi, in un momento di svolta radicale, ha a maggior ragione, un senso. Della fotografia Navone indaga i meccanismi, la luce, la grafia, la stampa, lui che é raffinato stampatore di professione.
I suoi fotogrammi sono dosati con una misura che é l’antitesi di quanto ci propone il digitale: uno scatto dopo l’altro, senza tempo di riflessione. Qui é ancora il bene dell’imprevedibilità dell’esito della fotografia. Non vi sono postproduzioni informatiche. Navone non é un polveroso laudator temporis acti, piuttosto un fotografo che riflette sul senso dell’immagine e della riproduzione della stessa. Nel 2004, per esempio, realizza un unico lavoro con una piccola bottiglia, un omaggio alle piastrelle di Franco Vimercati, un artista le cui riflessioni sulla fotografia hanno avuto un grande impatto su Navone, che più volte si è confrontato con lui sui temi del linguaggio fotografico. “Gli attori cambiano, ma la commedia è sempre la stessa”, amava ripetergli l’artista, scomparso nel 2001, a proposito del suo lavoro. Così per Navone, per il quale non é determinante la presenza di un oggetto piuttosto che di un altro. Non si tratta di documentazione. Qui si va a cercare di comprendere l’essenza dei fenomeni, in linea con le Verifiche di Ugo Mulas.
La sua é una sorta di ossessione, di volontà di andare al profondo delle cose: i mutamenti nel suo lavoro sono piccole differenze, piccoli passi che a poco a poco portano la sua ricerca verso nuove direzioni.
Da qualche anno Navone ha preso ad elaborare gli oggetti, a bruciare le plastiche, a modificarle prime di fotografarle. Si tratta di un mutamento importante di atteggiamento. Navone non si limita più alla sola registrazione, va ben oltre, cerca di intervenire sulla realtà per poi registrarla. Si é scoperto appassionato all’aspetto della modifica. E in tal senso il fenomenico perde la sua specificità per assumerne un’altra, non sempre riconoscibile.
Certo con la modificazione degli oggetti qualcosa é cambiato, ma il senso dell’operazione fotografica rimane lo stesso. Sempre più viene a crearsi un rapporto interpersonale con l’oggetto rappresentato, un dialogo intimo in cui é possibile introdursi con attenzione e lentezza per non stravolgere l’armonia del contesto.
Angela Madesani, settembre 2009
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