EXTRACORPI
23 09 2006 > 12 11 2006
nell’ambito della
V Biennale dell’immagine Chiasso 2006
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EXTRACORPI testo di Cecilia Liveriero Lavelli
Aggirandoci tra le immagini selezionate per questa mostra veniamo immediatamente fagocitati in mondi – diversi per latitudine e immaginario – che si attraggono e respingono come i poli di instabili calamite. I luoghi non si aprono al nostro sguardo, ma lo trapassano con la crudezza del loro abbandono, con l’anonimato delle tracce e dei gesti, con la rassegnazione dei volti.
Ogni foto, e, ancor più, ogni binomio fotografico realizzato da Fadhil porta con sé una nota di stridore che ci rende lentamente consapevoli dei contrasti profondi, ma non necessariamente immediati, che regnano tra le realtà osservate. Lo sguardo dell’artista si posa sui soggetti con una lucidità tagliente, rispettando un’eleganza compositiva rigorosa, quasi severa.
Fadhil fotografa e ritocca per capire, per seguire i giochi di forza che si innescano sotto i suoi occhi. È così che reinventa una geopolitica del vivere e dell’abitare: il suo occhio coglie, spesso dall’alto, lo svolgersi di un modello socio-politico che, senza provare vergogna, attraversa i continenti, interessa indistintamente centri urbani e periferie, superfici incustodite e hall affollate.
Gli individui vengono ad occupare dei luoghi che si contorcono come se fossero in presenza di intrusi, di ospiti indesiderati, di persone non grate. Corpi sempre estranei, dislocati in mondi a cui non appartengono, dove la scommessa è quella della convivenza, ma la convivenza in un territorio in cui vengono a mancare le zone franche, in cui ogni apparizione è un rischio; è, di fatto, in gioco la coabitazione con i fantasmi delle istituzioni, oltre che con i propri simili. Questo riguardo per delle esistenze buttate come detriti in non-luoghi scevri da qualsiasi spirito di accoglienza permette sia a Fadhil autore, sia a noi spettatori di cogliere dettagli in grado di sconvolgere la percezione dello spazio sociale, umano, politico.
Se parliamo di “visitors” noi, sorretti da una diffusa memoria cinematografica, pensiamo alla presenza più che minacciosa di spiriti alieni dalle dubbie intenzioni: extracorpi, per l’appunto. Ma è quello stesso termine ad accoglierci alla dogana di tutti gli aeroporti statunitensi: sotto l’egida di “visitors” si raccolgono in file interminabili tutti gli stranieri in arrivo, accomunati dalla loro presenza aliena, finalizzata a invadere, seppur temporaneamente, il suolo nordamericano. È su questi gap culturali, su queste ferite alle diverse sensibilità che l’artista guarda con crescente inquietudine.
Quello di Fadhil è uno sguardo errante che si posa sull’emergenza sociale, un’emergenza che non viene affatto vissuta quotidianamente come tale, perché presentata come provvisoria, passeggera, eppure venata del disagio di chi sa di trovarsi in uno stato perenne di allarme.
Settembre 2006
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