Orrizonte I – 2011
© Gabriele Jardini, dalla serie Caos Apollineo – 2016
Stampa digitale ai pigmenti cm 130×171 – Ed. 2/12
Non ci sta – 2014
© Gabriele Jardini, dalla serie Caos Apollineo – 2016
Stampa digitale ai pigmenti cm 130×171 – Ed. 2/12

Calder parterre V 2013-2014
© Gabriele Jardini, dalla serie Caos Apollineo – 2016
Stampa digitale ai pigmenti cm 150×150 – Ed. 2/12

Taglio II 2008-2013
© Gabriele Jardini, dalla serie Caos Apollineo – 2016
Stampa digitale ai pigmenti cm 110×145 – Ed. 2/12

CAOS APOLLINEO

All’insegna di un “Caos apollineo” vengono proposte alcune delle più recenti creazioni di Gabriele Jardini.
Il titolo vuole sottolineare l’ossimoro che si rivela nelle composizioni da lui realizzate, ma più ancora nel procedimento che permette di costruirle. Jardini fa parte di quegli autori che gestiscono l’immagine fotografica non per la sua qualità specifica, ma come documento che registra un fatto. L’immagine è ciò che resta, il risultato o meglio l’obiettivo di un lungo procedimento di preparazione e non una forma trovata. Quello che vediamo sembra frutto di un effetto fotografico ed invece è interamente creato, “in laboratorio”.
Con la fotografia la registrazione di un istante, di un momento sospeso diviene forma compiuta, attimo eternato. Per giungere a quell’istante, però, occorre oggi una estrema precisione, resa possibile dagli strumenti ottici, ma soprattutto da un lungo e paziente lavoro di progettazione e composizione.
Jardini viene da una lunga esperienza di interventi nella natura, in cui ha usato i materiali che reperiva sul luogo, secondo il modello delle operazioni di “Art in Nature”, e ha sempre tenuto a lavorare sull’assoluta oggettività delle immagini. Quello che realizzava modellando la neve, dei fiori, la sabbia, per generare delle situazioni vitali, stravaganti, si trasferisce ora in una rilettura del genere della natura morta. Le cose quotidiane, gli oggetti domestici, sono però animati da uno spirito creativo particolare, dando luogo a situazioni-limite, dove tutto sembra destinato a cadere, a finire e resta magicamente in piedi.
Le situazioni che ci propone sono eventi apparentemente impossibili, fondati sulla distruzione, sull’imprevisto, sulla registrazione di un momento destinato alla caduta. In questo senso la sua operazione ha a che fare con il caos, la condizione in cui le cose sono prima dell’intervento ordinatore di un dio, di un demiurgo, di un organizzatore della realtà. Quel caos che possiamo leggere nella moltiplicazione e nell’accatastamento degli oggetti, nella frattura che li attraversa, nel loro rompere ogni ordine o convenzione. Dentro questo disordine apparente, le cose trovano invece un loro equilibrio miracoloso, un ordine temporaneo e reso definitivo. Il caos si trasforma magicamente in un equilibrio armonico, in questo senso “apollineo”.
Il carattere proprio del suo lavoro perciò consiste in una dialettica estrema, che mette in gioco gli opposti, di una temporalità istantanea che diviene permanente, di un equilibrio che scaturisce dalla caduta potenziale, di un ribaltamento di prospettiva. Con questo, e nella più assoluta semplicità delle cose, Jardini sposta l’attenzione dalla loro entità immediata – per cui le cose sono lì con la loro storia, con il legame che hanno, di breve o lunga portata, con il loro proprietario o con chi ne fa uso – al loro significato “metafisico”. Dove l’insieme degli oggetti, delle tracce di vita sembra destinato a mostrarne la fine, le rimette in piedi, le rivitalizza, le trasforma in immagini dell’eterno. Dove la natura morta solitamente viene considerata un “memento mori”, dai lavori di Jardini sembra provenire, nonostante tutto, una “libido vivendi”, una proiezione nel futuro, un messaggio, in ultima analisi, di ottimismo, perché la distruzione, il caos, sono destinati a salvezza, anche nella loro dimensione di precarietà.

Francesco Tedeschi
gennaio 2014